Diventare rossi in volto è il segnale esterno di una sensazione di smarrimento che ci sorprende dall’interno. Il viso che si arrossa fa vedere quello che vorremmo nascondere: è la manifestazione della vergogna. A tradire è il linguaggio del corpo che influenza il portamento, lancia i suoi segnali, si ritrae, mentre imbarazzati, si tenta di rimuovere quanto è appena successo.
Ci sono passaggi della vita come quello dell’adolescenza, dove il corpo muta in poco tempo, sorprendendo anche chi lo abita. Si preferirebbe sfuggire agli sguardi altrui, non essere visti, per avere il tempo di sistemare e dare forma a quanto accade. La particolarità di questa emozione è proprio il suo aspetto che ha a che fare con gli altri, il suo mettere in pubblico qualcosa che si preferirebbe lasciare privato. Perché si è timidi o perché si teme di aver fatto qualcosa che non va.
Ormai sono i mezzi virtuali che permettono di dimostrare propri comportamenti, quando si entra in alcuni ambienti sul web. Il mezzo virtuale cambia le modalità, ma non elimina la potenza della vergogna; la rete influenza il senso del pudore e nel mondo moderno si avanza insicuri, si teme di avere un deficit, di essere meno, un diverso, non adeguato alle aspettative sociali.
E’ la vergogna di chi ha qualche chilo in più, dell’omosessuale, dello straniero. Questa vergogna può diventare fobia sociale quando arriva la richiesta di esibirsi in pubblico. Se ce la si fa, l’identità si rafforza, se ci si ritira per rispondere alle esigenze di una società che vorrebbe tutti perfetti, si costruiranno corazze di difesa. La vergogna parla di ciascuno in relazione agli occhi degli altri, racconta cosa vorremmo restasse intimo e nascosto, ma invece diventa pubblico, conosciuto e potrebbe infastidirci.
Ciò che la vergogna vorrebbe non si svelasse agli altri, potrebbe essere come un negativo che rivela una nostra miseria o un positivo che si vorrebbe proteggere, perché ritenuto privato.