Nella civiltà greca antica, si giungeva a cercare una relazione con il soprannaturale durante il sonno. E da qui, si associavano le parole ai numeri o si interpretavano numericamente, attraverso dei simboli o del loro significato, il nome delle persone. In greco, gimatriah, etimologicamente simile alla parola geometria, divenne sorgente della cabala o kabbalah, in ebraico “dottrina ricevuta”. Le culture cabalistiche ebraico-cristiana e quella egizia-alessandrina erano fortemente intrecciate nell’interpretare numeri e loro significati.
A Napoli, in cui fu profonda l’impronta ellenica, non fu difficile l’accoglienza di tali tradizioni. Ai tempi di Carlo di Borbone, la città partenopea era molto presa dall’esoterismo di origine egizia, portata dalla presenza alessandrina stabilita nel centro della Neapolis greco-romana. Nella seconda metà del 1700, ci fu una vera e propria definizione dell’usanza di sfidare la fortuna puntando sui numeri. Di qui si cominciò a non puntare più casualmente, ma attraverso l’interpretazione dei sogni o a determinati accadimenti della quotidianità. Nasce la Smorfia napoletana, il cui termine deriva forse da Morfeo, divinità greca del sonno. La parola lotto è invece di origine germanica: hleut stava a significare i giochi a sorteggio in genere.
Il lotto a Napoli divenne una vera e propria “malattia”, che coinvolgeva chiunque. Il frate domenicano Gregorio Maria Rocco, tentava di frenare il fenomeno diffuso, sostenendone l’immoralità e l’estraneità in un Regno di matrice cattolica. Carlo di Borbone e il Rocco giunsero ad un compromesso: tutte le giocate sarebbero state sospese nella settimana delle feste di Natale, per evitare “distrazioni”. I napoletani, però, ormai troppo affezionati a quella pratica, si organizzarono diversamente. In occasione del Natale del 1734, ci si inventò estrazioni del lotto “casalinghe”. I numeri scolpiti nel legno, erano estratti a sorte da un’urna abbozzata. Le cartelle disegnate a mano, ospitavano quindici numeri casuali da coprire con dei fagioli che aiutavano a tenere il conto. Nacque la tombola. L’etimologia del termine non è definibile, forse dovuta ai “capitomboli” dei numeretti girati nell’urna.
Nel 1860, Giuseppe Garibaldi, entrando in Napoli, sancì l’abolizione del gioco del lotto, che resistette solo tre anni. La tradizione era ormai inarrestabile. Tutti gli altri stati italiani ne subirono l’influsso, decretando il lotto e la tombola, giochi della Nazione unita. Napoli restò unica città ad assicurare maggior introito fra tutte le province italiane. Anche il giorno stabilito per l’estrazione, fu traslato dall’abitudine napoletana del primo Ottocento di sorteggiare i numeri di sabato al Palazzo della Vicaria. Solo nel 1997 fu deciso di aggiungere un secondo giorno per le estrazioni ed un terzo nel 2005.
Anche la tombola ha visto la propria diffusione al di là dei confini campani e italiani: il Bingo americano è figlio di quella matrice partenopea. Gli emigranti portarono con loro cartelle, numeri, panierino e fagioli, beans; chi riusciva a coprire l’intera cartella gridava beano in un americano alterato, termine successivamente sostituito da bingo. La tombola napoletana era sbarcata oltreoceano, seppur separata dalla tradizione e dall’impulso primitivo: la suggestiva, misterica “smorfia”.