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Se si tiene conto della posizione assunta dalla stragrande maggioranze degli economisti, la ragione per cui l'Italia da circa un quarto di secolo è il paese che riporta i tassi di crescita più bassi rispetto agli altri paesi sviluppati, andrebbe ricercata nella difficoltà di allineare l'Italia alle sfide della globalizzazione, della moneta unica e dell'evoluzione tecnologica.

Il nostro PIL pro-capite è pari a 106, mentre la poverissima Grecia è riuscita a raggiungere un livello pari a 116.

Rispetto ai paesi dell'Eurozona, l'Italia è uno dei pochissimi Stati che non ha ancora superato i livelli precrisi. Tale contesto sta comportando un innalzamento della soglia di povertà (pari al 30% - fonte Istat) per cui solo pochi vedono migliorare la propria condizione economica. Il valore italiano si mantiene  al di sotto dei paesi come Bulgaria, Romania, Grecia e Lituania.

Non è soltanto il frutto di un'economia debole, quant'anche di redditi più bassi rispetto alla media europea, con un sempre più alto rischio povertà o esclusione sociale. Secondo la nota di giugno 2018 dell'Istat, si andrebbe in tal senso a consolidare un vero e proprio "contenimento dei ritmi di crescita dell'economia". A giudizio degli economisti, il nostro Paese trova le ragioni di tale scenario esclusivamente nelle mancate riforme che in questi anni avrebbero dovuto far riprendere l'economia nazionale.

La convinzione del popolo italiano è completamente opposta rispetto all'analisi effettuata dagli economisti. Gli italiani, infatti, ritengono che la causa dello stallo economico sia la conseguenza di riforme fatte ma inefficaci e non di riforme mai varate, ma anche della globalizzazione e dell'immigrazione. Elemento quest'ultimo, che sta assumendo oramai significati distorti e sfumature estremiste.

La politica di contrasto all'immigrazione, nasce unicamente per porre un freno aggli incontrollati flussi migratori, senza alcuna accezione razzista, essendo sempre stata l'Italia una nazione accogliente, volta alla promozione di esperienze di crescita interculturali, finalizzate ad una più compiuta formazione individuale.

Resta il dato di fatto che nonostante le riforme, i risultati stentano ad arrivare sia in ordine alla crescita del reddito, sia dell'occupazione, sia della qualità del lavoro. Se chiudere o meno all'Europa, facendo un passo indietro, è una delle tematiche più scottanti affrontate dagli economisti, benchè la risposta non sia univoca, essendo da un lato verosimilmente possibile che la nostra condizione debitoria peggiori oltremodo. L'ulteriore soluzione avanzata lo scorso Giugno, perchè il Fondo Monetario Europeo acquisisca ampi poteri di monitoraggio sui nostri conti pubblici è stata motivatamente respinta, perchè nuovi vincoli e maggiore rigidità sulla sorveglianza fiscale, rischierebbero di impoverire l'autonomia e le basi della nostra democraticità.

Le prospettive per l'economia italiana 2018 avanzate dall'Istatat vedono crescere in termini reali il PIL dell'1,4%, benchè il ciclo positivo dell'economia si scontri con il perdurare della debolezza negli investimenti in capitale e con l'aumento dell'occupazione ad elevata qualificazione.