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Mesia

Fra gli edifici medioevali della città rimasti integri, è da visitare la cattedrale di Notre-Dame, una delle maggiori realizzazioni del gotico francese. Iniziata nel 1163, ha cinque navate e le sculture superstiti dei portali (l’Incoronazione della Vergine e il Giudizio Universale), sono fra i migliori esempi della più antica scultura gotica europea. Più antica ancora è la chiesa di Saint-Germain-des- Prés, fondata nel 542 e poi ampiamente rimaneggiata, con la torre campanaria e le navate laterali risalenti al secoloXI. Risalgono invece al XII le chiese di Saint-Martin-des-Champs, di Saint-Julien-le-Pauvre e Saint-Pierre-de-Montmartre. Al 1246 risale la Sainte-Chapelle, costruita per ospitare le reliquie della Passione portate in Francia da Luigi I.

Tra gli edifici civili parigini, va ricordato il Pantheon, già chiesa di Sainte-Geneviève, dalle forme classicistiche. Di età napoleonica la colonna di PlaceVendome e l’Arco di trionfo, mentre oltre la caratteristica e celeberrima Tour Eiffel risalente al 1885, curioso esempio di architettura in ferro, è da menzionare il Teatro degli Champs-Elysées, costruito tra gli anni 1911-13. Tra i musei, che a Parigi sono oltre duecento, il Louvre è il più conosciuto e va annoverato fra i più grandi del mondo. Sorto nel XII secolo, acquistò l’attuale aspetto nel Seicento.

Di grande rilievo sono anche il Museo di Cluny, con una eccezionale raccolta di oggetti artistici soprattutto di epoca medievale (splendidi avori), rinascimentali e di epoca romana. I musei Cernuschi e Guimet sono dedicati all’arte egizia e orientale: il Guimet è fra i più notevoli d’Europa per l’arte cinese e giapponese. All’arte moderna e contemporanea sono invece dedicati il Jeau de Paume, il Museo Nazionale d’Arte Moderna e il Petit Palais.

Famoso è il quartiere latino, caratterizzato da tracce dell’antico impianto ortogonale delle strade che delineava la città in epoca romana, l’Ile de la Cité, una delle isole fluviali della Senna, che ospita la Cattedrale di Notre Dame (l’altra è l’Ile de Saint-Louis). Montmartre, collina nella zona nord di Parigi, sulla riva destra è nota per la Basilica del Sacro Cuore e per essere stato il centro della vita di bohémien. Qui, Place du Tertre, è luogo di ritrovo di molti artisti di strada.

Per composizione, si possono distinguere in dure e sono vere e proprie porcellane con temperatura di cottura superiore a 1300°, di colore perfettamente bianco, porosità quasi nulla, durezza in superficie tanto elevata da non essere scalfita dall’acciaio ed in tenere, con temperatura di cottura inferiore a 1300°, meno dure e meno sonore; hanno il pregio di poter usare decori a colori più vari data la minor temperatura di cottura.

La porcellana a pasta dura è originaria della Cina: già durante la dinastia Han (206 a.C. – 220 d.C.), gli artigiani cinesi fabbricavano ceramiche smaltate con le caratteristiche di vere e proprie porcellane.

A cominciare dal XIII secolo, si incominciarono ad importare i primi vasellami e nei secoli successivi, i manufatti di porcellana trasportati per le vie dell’Oriente divennero sempre più numerosi e sempre più vivo si accese il desiderio di imitarli. Verso la fine del XV secolo, si tentò la riproduzione presso le corti di Lodi, Torino, Ferrara e Pesaro, ma senza esito.

I primi risultati si ebbero con la manifattura fiorentina fondata da Francesco I de’ Medici, arrivando a foggiare coppe, piatti e bottiglie decorati con motivi floreali di gusto orientale, in blu cobalto o manganese. Successivamente, buoni prodotti si ottennero anche in Francia e Germania.

Nel 1720 a Venezia, si aprì la prima fabbrica di porcellana italiana, seguita da Vinovo (presso Torino) e nello stesso capoluogo piemontese si produssero buoni esemplari in porcellana ed in maiolica. A Napoli, Ferdinando IV di Borbone fondò la Real Manifattura di Portici che produsse porcellana tenera fino ai primi anni del XIX secolo, mentre a Doccia, nel comune di Pontassieve (Firenze), il marchese Carlo Ginori impiantò quella che più avanti diventerà la Richard-Ginori.

L’espressione più tipica della produzione in porcellana si è manifestata nel modellare statuette singole o gruppi di più figure come ballerine, pastorelle, damine e cavalieri, ma anche servizi da tavola ornati con motivi floreali, scene pastorali e soggetti esotici. Anticamente, la passione per la porcellana si espanse al punto da far costruire intere stanze con questo raffinato materiale: resta celebre quella realizzata per la reggia di Portici, oggi conservata nel Museo di Capodimonte.

Tempo di preparazione: 1 ora

Difficoltà: media

INGREDIENTI PER 6 PERSONE

  • 200 g. di pasta sfoglia
  • 5 pere
  • 120 g. di burro 
  • 120 g. di zucchero

 

Lavare e sbucciare le pere, tagliarle a fette spesse ed eliminare le tracce del torsolo. In una pirofila da forno, mettere sul fondo lo zucchero ed il burro tagliato a pezzettini, unire un cucchiaio d’acqua e le fettine di pera. Riporre tutto su fuoco medio e togliere appena lo zucchero inizia a caramellare. Stendere la pasta sfoglia, adagiandola sulle pere coprendo bene tutta la teglia e formando un bordo ripiegato all’estremità delle pere. Cuocere in forno precedentemente riscaldato a 200 gradi, fino a quando la pasta non risulterà croccante e leggermente dorata. Toglierla dal forno, lasciare intiepidire e rovesciare la torta nel piatto da portata prima che il caramello si raffreddi e indurisca e servire.

Tempo di preparazione: 1 ora e 30 minuti

Difficoltà: media


INGREDIENTI PER 6 PERSONE

  • 4 uova
  • 150g. di zucchero
  • 150 g. di torrone 
  • mezzo litro di panna per dolci
  • 100 g. di cioccolato fondente
  • brandy

 

Tritare grossolanamente il torrone e il cioccolato, sbattere i tuorli con lo zucchero, montare a neve ferma gli albumi e, a parte, la panna. Amalgamare delicatamente i tuorli e lo zucchero con la panna e gli albumi. Mescolare insieme il torrone e il cioccolato e dividerli in tre parti uguali. Disporre sul fondo di uno stampo a cassetta una parte di torrone e cioccolato, spruzzare di brandy, versare la metà della crema, mettere ancora torrone, cioccolato e brandy, finire la crema e chiudere con la terza parte di torrone e cioccolato. Porre in congelatore per un’ora prima di servire.

Tra cenoni e pranzi in famiglia, le feste natalizie portano con sè anche tanti brindisi. Prima di versare, però, bisogna stappare la bottiglia. Che si tratti di spumante o liquore, prosecco o vino da tavola, queste nozioni sui tappi possono tornare utili.
Gli antichi usavano i tappi di sughero per sigillare le anfore, elemento naturale ricavato dalla corteccia della Quercus suber. Ancora oggi figura tra i materiali più richiesti per la produzione di tappi da bottiglia, perché è impermeabile, elastico e, grazie alla sua microporosità, consente al vino una lenta ossigenazione. Se il sughero è di scarsa qualità o deteriorato, tuttavia, può ospitare muffe e parassiti che rovinano il contenuto nella bottiglia.

Tra i tappi di sughero, il monopezzo è utilizzato prevalentemente sulle bottiglie più pregiate. Quello a due dischi (alle estremità due dischi in sughero, al centro granuli di sughero pressati), sigilla invece gli spumanti. Ai vini meno costosi è associato il tappo agglomerato (tecnico), ottenuto dalla compressione di trucioli legati con sostanze collanti. Consigliato per i liquori e i vini dolci che si conservano a lungo, infine è il tappo incapsulato a T che garantisce praticità e scarsa pressione sul collo della bottiglia. Oltre il sughero, sono molti altri i materiali con cui si realizzano tappi per bottiglie. Quelli sintetici-termoplastici sono consigliati per tutti i vini (tranne quelli che richiedono ossigenazione), perché non si sgretolano, sono atossici, si possono sterilizzare e resistono alle muffe.

Completano la varietà i tappi in alluminio (che assicurano l’isolamento e l’ottimale conservazione del vino) e in vetro (belli esteticamente, ma senza particolari qualità).
Usati per le bottiglie di vino e birra, olio e aceto, i tappi a vite e a corona, vantano grande tenuta, anche se in Italia sono considerati come poco eleganti. Non si discostano molto i tappi a strappo, che costituiti da capsule in plastica o alluminio, sigillano di solito vini commerciali in cartone. Tutt’altra estetica hanno invece i tappi a fungo e quelli conici.

I tappi in sughero sono i più costosi: cento costano dagli 8 ai 30 euro, ma i più pregiati sfiorano anche i 60. Non a caso, in Italia si stanno moltiplicando le iniziative di raccolta e riciclo di questo materiale, per natura, isolante termico e acustico. Più economici sono i tappi a vite con guarnizione interna: a partire dai 10 fino ai 20 euro per cento pezzi. I meno costosi in assoluto i tappi a corona: da 1 a 3 euro per cento pezzi.

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